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La Stele di Agartha


Siamo una cosa sola con la natura ma lo abbiamo dimenticato.

Siamo luce, suono e movimento che intuiscono la realtà attraverso manifestazioni energetiche generate in infiniti modi diversi, unici e costantemente interdipendenti.

Gli atomi, le vibrazioni sono in perenne interazione affinché l’uno, il tutto – l’Uno Tutto – si possa concretizzare in ciò che avvertiamo nella nostra dimensione limitata dalla forma e che solo dal nostro punto di vista appare illimitata e lontana dall’immediatezza di cui abbiamo priorità di risolvere. Anche i nostri pensieri sono vibrazioni, gli antichi lo percepivano e in tale maniera lo comprendevano ma noi questo fondamentale dettaglio lo abbiamo dimenticato.

Il nostro frammento divino è parte di un’univoca essenza che risuona con la stessa frequenza di cui è composta la creazione; in un’epoca lontana si era in grado di sintonizzarsi su questa frequenza e ci si sentiva parte della creazione, sintonizzati con Dio stesso. Oggi però noi lo abbiamo dimenticato.

Mi rendo conto che concetti di tale portata potranno finire, più o meno volontariamente ma sicuramente a ragion veduta date le tendenze new age in cui ci ritroviamo a navigare, per essere inseriti in una categoria dal confine labile che gioca da tempo immemore a una partita che si sposta tra una spiritualità di primo livello a nuove forme di espressione che nulla hanno a che vedere con il densissimo significato della spiritualità intesa quale forza applicata agli strati nascosti dell’animo e intuibili  nel vivere, dal quotidiano al miracoloso, laddove si ha già avuto accesso alla PROPRIA dimensione intimamente connessa.

Ecco il manifesto di questo portale: ateo, irreligioso e anche agnostico nel senso che gli si potrebbe attribuire sotto al filtro diffuso nella società attuale ma che inevitabilmente, irrimediabilmente e con immenso amore guarda a ogni istante e a ogni aspetto della creazione nel modo più fedele, spirituale e convinto possibile. Spiritualità qui intesa come una ricerca profonda dopo un lungo peregrinaggio per i meandri interiori che erano rimasti bui, lontani, distaccati dalla verità oggettiva di una personalità.


Immagine tratta da Google di proprietà esclusiva dei detentori del copyright.

Questo è quanto troverete all’ingresso del tempio, un richiamo urgente e sentito che vuole spingere ad accendere la consapevolezza interiore in cui risiede tutto l’amore, tutta la conoscenza, tutta la comprensione che nel bene e nel male stabilisce il proprio modo di venire al mondo. L’Uno Tutto di cui, in un tempo lontano, ancora si aveva memoria e che oggi abbiamo dimenticato relegando il divino che è custodito in ogni singolo elemento della nostra verità a un angolo distante e attende di essere risvegliato.

Per quanto mi riguarda – e in quanto pensiero personale funge solo da decoro alla pagina bianca – questo tempio virtuale rappresenterà una casa di unitarietà e comunione con l’intero universo in cui mi divertirò a condividere, con chi avrà voglia di interfacciarsi e spero alla luce della missione di comunione e rispetto, tutto ciò che ritengo non debba mai essere dimenticato ma anzi sperimentato in forme nuove e adatte alla nostra realtà attuale in modo da ritrovare il contatto con la propria anima a cui gli antichi sapevano accedere con capacità spontanee così come lo era spegnere la sete con acqua fresca e saziare la fame del corpo ma che noi oggi, immersi nell’individualismo duale, abbiamo dimenticato.

Il complicato periodo che stiamo affrontando penso sia determinante per muoverci in questa direzione; ne abbiamo il tempo e lo spazio, abbiamo accesso a momenti di isolamento e profonda riflessione. Se solo usassimo le giuste chiavi, i simboli che da quando il pianeta ne ha memoria corrono di mente in mente e di bocca in bocca, allora avremmo accesso a sublimi livelli di possibilità che in passato venivano sentiti in pensieri e vibrazioni a cui oggi non siamo più educati.

Tutto è energia e il nostro modo di approcciarci alle cose della realtà genera un effetto che definirei, erroneamente ma consapevolmente adatto, di risonanza che si espande nell’Uno Tutto e prende l'immagine con cui è stato stabilito in simbiosi all’armonia naturale di cui il cosmo è impregnato. Queste sono conoscenze insite in ogni parte della creazione, in ogni uomo. Gli antichi lo sapevano.

Tale percezione ha viaggiato  fin dalle prime forme arcaiche di civiltà vestendo tanti nomi e finendo per sbocciare inconsciamente in diversi e numerosi luoghi di evoluzione; molti e molteplici furono i passi di quegli uomini antichi che vissero nella dimensione naturalistica a stretto contatto con una verità prima avvertendo, come conseguenza allo sviluppo e all’interazione con il mondo e con ciò che lo compone, la necessità di rappresentare una sorta di innato principio di unità del tutto. Uno di questi nomi è stato il probabilmente più conosciuto “Uno”. Lo rintracciamo infatti già a partire dai Ṛgveda, una raccolta di Inni della Conoscenza contenuti nei Veda, datati all’incirca al II secolo a.C. e si diffuse in occidente insegnato dai sacerdoti egizi presso cui Pitagora studiò – per iniziare a fare alcuni dei cenni possibili nelle innumerevoli sfumature della forma-pensiero che andremo a formalizzare tornando in un indietro che è anche ora ed è anche avanti. Lo stesso simbolo dell'Unità altri non è che il geroglifico della parola Ra; tuttavia questo concetto non era limitato soltanto a una divinità ma era alla base dell'intero pensiero monistico egizio da cui è poi derivato il pensiero occidentale che, rispetto all'antico, si distanzia di poco alla luce di una comunicazione differente che però sfrutta identici simboli archetipali.

L’Uno Tutto era inteso quale forza originaria che domina il mondo, il principio fondante e unificatore da cui ogni cosa viene e a cui tutto ritornerà: si sperimentava in ogni aspetto del reale con una sorta di inconscia "tendenza monistica" priva di nome ma che veniva riconosciuta dall’anima quale parte unitaria dell’intero creato attraverso una fede che non era affatto intesa della stessa sostanza a cui oggi attribuiamo la nostra religiosità quanto, piuttosto, alla riverenza assoluta e al rispetto di ciò che era sacro, di una comunione di cui si sentivano veramente parte.

Immagine tratta da Google di proprietà esclusiva dei detentori del copyright.

Gli antichi conoscevano il mondo attraverso le percezioni, attraverso la vista che li aiutava a definire la realtà come legata alla loro più intima essenza con una lettura sicuramente circoscritta a un insieme di conoscenze che dalla nostra prospettiva appaiono superate, frutto di idolatria e mito ma che per loro stessa natura vibravano nell’uomo antico in sintonia con le stesse frequenze in cui SIAMO TUTTORA IMMERSI e per questo assimilate quali parte della verità dell’universo perché è così che la naturale forma mentis li leggeva. Non dovremmo quindi vedere alla necessità che aveva un antico egizio di assicurarsi che al mattino il Sole fosse sorto come ignoranza o religiosità “mancante” in quanto il primordiale concetto di vittoria della luce sulle tenebre è cosa a noi ben conosciuta e che allora (come ora) era avvertita in senso archetipico, simbolico nella definizione di una prospettiva di vita – morte – rinascita – che governava intimamente, oggettivamente e inesorabilmente i cicli della realtà. Quando Sirio si mostrava all’orizzonte per la coscienza collettiva questo veniva letto con gioia, come segno di fertilità perché il Nilo avrebbe finalmente prodotto il limo, una ricchezza preziosa che rientrava di diritto nella sfera delle conoscenze percepite e innalzate alla sacralità divenendo essenziali in un modello riconosciuto in tutte le società arcaiche. L’araldo delle acque era preceduto dalla cosiddetta “levata eliaca di Sirio” ovvero il simultaneo sorgere del Sole e della stella Sirio e questa era un’informazione appartenente alla saggezza sottile che gli antichi avevano acquisito proprio dall’osservazione della realtà in cui erano immersi, in una natura di cui si avvertivano appunto come “Uno tutto” alla loro stessa essenza. Era sì un movimento fisico ma era anche un evolvere simbolico che non poteva che essere letto come manifestazione del divino che fa il proprio ingresso nella proiezione esterna e che allo stesso tempo risiedeva nella spiritualità dell’individuo, nell’acqua, nelle pietre, negli animali, nella terra che donava sostentamento, nei semi, negli alberi e in tutti i modi che Madre Natura trovava per dare e fare esperienza. In tale prospettiva dobbiamo anche (ma non solo) guardare al Culto della Madre Terra, della Grande Dea Madre che ha coinvolto società lontane nel tempo e nello spazio sicuramente non in grado di comunicare come siamo abituati oggi ma che riuscivano a dialogare archetipicamente guardando al Sole nascere all’orizzonte, al vento che muoveva le foglie degli alberi, alla terra che tremava e all’acqua intesa quale fonte di vita ma anche di distruzione. C’era comunicazione, comunicazione invisibile che aveva (e ha) un linguaggio che non necessita di parole: questa è la lingua dell’anima.

Sono consapevole che dare valore concreto a un concetto simile risulta difficile per noi che abbiamo dimenticato il legame così come veniva esperito ma – e ripetute sono le prove al riguardo se di queste il lettore ne sente il corretto e  non biasimabile bisogno per dare consistenza a ciò che è letto come estremamente distante – sono anche fermamente convinta che ognuno di noi possa richiamare a sé l’essenza primordiale di cui l’intera creazione si compone attraverso un inteso lavoro di ricerca, riflessione ed esperienza del mondo invisibile che si nasconde oltre i Veli di Maya.

Con l’avvento delle società patriarcali e l’evoluzione di un ego differenziato molti di questi legami sono andati perduti quasi fino a scomparire completamente ma noi abbiamo la possibilità di fare un passo indietro, continuando ad andare sempre avanti nel ciclo, affinché ciò che si è dimenticato possa ritornare per essere applicato alla vita così come oggi la conosciamo, al tempo corrente e vivere tutte le cose che percepiamo come esterne da noi con maggiore consapevolezza alla luce delle conoscenze di cui disponiamo. Senza mai dimenticare che tutto è parte della stessa emanazione.

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Non possiamo quindi credere di poter operare nel dualismo, operare contro natura così come il nostro orecchio la ascolta, l’occhio la vede e l’anima la conosce per far sì che la nostra individualità si affermi nel mondo e raggiunga una felicità che già risiede nella nostra schiera di possibilità ma che non riusciamo a cogliere perché siamo stati educati a credere che alcune cose non sono possibili. Questo genera disarmonia, genera divisione e fa ammalare lo spirito, il corpo e l’anima di cui è permeata la creazione. Personalmente – decoro da pagina bianca – ritengo che sia questa una delle principali cause di quanto di negativo ci circonda perché attraverso l’emanazione di vibrazioni disarmoniche andiamo ad alimentare la ferita ancestrale che chiede solo di essere ricucita. E noi abbiamo il potere di aiutarla.

Sono fermamente convinta che tutto questo, se fatto in comunione collettiva o comunque sotto la spinta della volontà di rintracciare noi stessi nel mondo altro, possa permetterci di compiere un passo verso il raggiungimento di quello che si può definire equilibrio dell’esistenza che è anche il suo fine ultimo.

Tutto questo per aiutarci a ritrovare la particella divina che abbiamo dimenticato di possedere, il Fuoco di Prometeo che gli antichi riuscivano a identificare in tutti gli aspetti della creazione.


#oldlife #ancientliving


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